Quando cade il cielo: cosa insegna il down di AWS sulla resilienza cloud
Il down di AWS non è stato un incidente isolato, ma un campanello d’allarme per chi crede che il cloud sia infallibile. La resilienza non si misura in “nove dopo la virgola”, ma nella capacità di reagire, rialzarsi e imparare. Progettare per il fallimento, con multi-region, DR testato e governance chiara, è ciò che distingue un’infrastruttura moderna da una che vive di fortuna.
Andrea Italiano
Backend JuniorIl mattino in cui il cielo digitale ha tremato
La mattina del 20 ottobre 2025, la regione US-EAST-1 di AWS ha registrato un importante malfunzionamento: un difetto nella gestione automatizzata dei DNS legati al servizio DynamoDB ha generato un record DNS vuoto che non è riuscito a auto-ripararsi, causando un effetto a catena su decine di altri servizi.
Il risultato: piattaforme globali, dai giochi online alle app di pagamento, alle soluzioni enterprise, hanno subito ritardi, errori e interruzioni.
Questo episodio non è una critica a AWS, ma un promemoria architetturale: nessuna infrastruttura è immune, e la resilienza richiede strategia, non solo fiducia.
Il cloud è più umano di quanto sembra
Negli ultimi anni il cloud è diventato sinonimo di “non pensare all’infrastruttura”. Ma l’evento AWS ci ricorda che la concentrazione di carichi su poche regioni o pochi provider costituisce un single point of failure (SPOF).
La dipendenza da regioni geografiche singole o da zone di disponibilità ridotte (AZ) amplifica il rischio di impatto sistemico: quando la regione US-EAST-1 ha vacillato, l’effetto è stato globale.
Pertanto, l’obiettivo non è sostituire il cloud, ma governarlo con consapevolezza: progettare domini critici con visione di failure, recovery e ridondanza.

Meglio resilienti che fortunati
Mettere “backup” o “failover” sul foglio di progettazione non basta se non è coerente con il contesto. Una robusta architettura cloud-ready include:
- Multi-region / multi-cloud strategy: distribuire carichi critici su più provider o regioni/zone separate, con orchestrazione e failover automatici.
- Hybrid by design: sfruttare un mix tra on-premise, cloud privato e cloud pubblico per evitare che un unico punto di errore comprometta l’intero flusso.
- Disaster Recovery (DR) e Playbook Continuity: non solo piani scritti, ma procedure testate, simulazioni periodiche e metriche di recovery (RTO/RPO) chiaramente definite.
- Osservabilità, tracing e monitoraggio end-to-end: ogni componente (compute, database, networking, storage) deve essere visibile e tracciabile, così da identificare rapidamente il “dove” e il “perché” dell’anomalia.
Importante: non si tratta di spendere di più, ma di spendere meglio, progettando per il “quando” e non solo per il “se”.
Cosa significa affidabilità nel 2025
Oggi, per un servizio enterprise, non basta un uptime del 99,999%. Ciò che conta è quanto velocemente l’ecosistema reagisce e si ripristina.
Durante l’AWS down, molte aziende hanno sofferto non tanto per il fermo, ma per la coda di richieste arretrate (backlog) e il rallentamento della ripartenza.
In sostanza: il cloud maturo non è quello che non cade mai, ma quello che sa ripartire bene.
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Cosa puoi fare oggi
Ecco alcune azioni concrete che consigliamo di integrare nei prossimi 3–6 mesi:
- Mappare le dipendenze delle applicazioni critiche (regioni, zone, provider) e simulare scenari “regione down”.
- Implementare endpoint cross-region / cross-cloud per funzionalità chiave (es. identity, pagamento, messaggistica) con fallback automatizzato.
- Stabilire una governance del provider: SLA, contratto, revisione annuale, “esercitazione blackout”.
- Automatizzare il failover: IaC (Terraform/CloudFormation), CI/CD che supporta il deploy multi-target.
- Monitorare e testare il piano DR: metriche RTO/RPO, drill semestrali, documentazione accessibile e aggiornabile.
Dal cloud alla consapevolezza
L’AWS down è molto più di un incidente tecnico: è un segnale per architetti e leader IT.
La trasformazione digitale non è solo “cambiare strumenti”, ma accrescere la responsabilità architetturale.
Le aziende che sapranno superare questi momenti non sono quelle che hanno evitato il fallimento, ma quelle che hanno costruito l’abitudine a reagire.
Conclusione
Ogni blackout è un test per la maturità digitale di un’organizzazione. E forse, paradossalmente, serve un evento come quello avvenuto per ricordarci che la resilienza non si acquista, si costruisce. Il cloud non è infallibile. Ma un’architettura intelligente può esserlo quanto basta per non essere spaventata quando il cielo vacilla.
Se il tuo business dipende dal cloud (e oggi lo fa quasi sempre), non aspettare il prossimo blackout per parlarne. Contattaci: aiutiamo team e aziende a progettare sistemi che non si fermano quando lo fa il provider.
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